Trecentotrentaduesassi . un nido per l'aquila

Trecentotrentaduesassi . un nido per l'aquila Segnalato da Marco Monari

Marco Monari

Categoria: Mostre

Data: dal 20 novembre 2010 al 06 gennaio 2011

Indirizzo: Via dante, 97

Provincia: Padova

Orario di apertura: dal martedì al sabato dalle ore 16:30 alle 19:30

Sito internet: www.sabspace.it

Referente: sabspace

Per informazioni: 3480656716

E-mail: info@sabspace.it


Si inaugura Sabato 20 novembre 2010 la mostra fotografica Trecentotrentaduesassi di Marco Monari.
La mostra è parte integrante del progetto per la ricostruzione di un asilo nido a L’Aquila ‘Un Nido per L’Aquila
La mostra viene inaugurata nel corso di una giornata dedicata al Nido per L’Aquila durante la quale saranno presentate le nuove iniziative del progetto per raccogliere i fondi necessari alla ricostruzione dell’asilo.

Dalle alle ore 15 animazione per bambini con animatrici qualificate.

Dalle ore 18.30 inaugurazione della mostra, presentazione progetto ed iniziative in corso, anteprima del catalogo della mostra, aperitivo Aquilano di benvenuto.

L’iniziativa ha il patrocinio della Regione Abruzzo, della Provincia di L’Aquila, del Comune di L’Aquila e del Comune di Padova.

L’ingresso alla mostra è libero con offerta destinata al progetto.

Aperta dal martedì al sabato dalle ore 16:30ale ore 19:30 a Padova in via Dante 97 presso la galleria Sabspace. Parte del lavoro sarà esposto nella galleria di via S. Pietro 3 sempre a Padova a pochi metri da via Dante.

 

 

 

 

 

 

 

 

trecentotrentadue sassi
Diritti distorti (1994), Oltre il Muro (2001) No! ( 2004), Cosa c’è di Diverso? (2008): sono alcune delle opere di Marco Monari precedenti questa ultima esposizione, che hanno in comune un’analisi fotografica del sociale.
Terreno difficile, impervio e talvolta pericoloso, sempre in bilico, in non-equlibrio tra ragione e sentimento. Con la conseguenza che la prima vuole testimoniare ad occhi aperti, quasi asetticamente, e preoccupata più di oggettivare l’evento o la problematica in una teatralizzazione del soggetto e un richiamo ammiccante all’estetica dell’immagine, mentre il secondo intende appropriarsi dell’evento chiudendo gli occhi per meglio assaporarlo in un’analisi fortemente emotiva che spesso lacera o, talvolta, esalta il lettore della rappresentazione fotografica che nel pathos rivive la realtà raffigurata, come momento di vita personale.
Trovare una terza via di lettura, un’uscita di sicurezza, è opera ardua e quasi mai convincente; meglio chiedere alla fotografia ( e al fotografo in prima persona) un equilibrio/non equilibrio che fluidamente ci porti a collocare l’immagine fuori e dentro noi stessi.
Questo equilibrio-non equilibrio l’ho sentito nelle immagini di quella città disastrata de L’aquila che Marco Monari ci presenta all’inizio del suo lavoro: immagini sofferte, semplici, pulite, tecnicamente ben eseguite, mai ridondanti o peggio lacrimevoli e/o teatralizzate, quasi fredde, immobili nel tempo e senza presenza umana visibile che danno un forte accento di silenzio che forse è la chiave di volta, la risposta risolutiva alla contrapposizione ragione-sentimento. Un silenzio fragoroso, un silenzio urlato che non abbisogna di una risposta ma pone mille domande irrisolute.
La seconda parte del lavoro invece si propone come un’umanità che vuol essere testimonianza ma anche operatività. E quindi le presenze umane hanno la caratteristica di essere tutte diverse nelle loro individualità ma tutte unite nel loro sforzo di ricerca di una risposta alla sciagura di un evento che nasce dalla terra e con le pietre della terra vuole (ri)costruire (un muro, una casa, un ospedale, una scuola …) contro l’oblio dell’uomo e come momento di rinascita di questo popolo:una risposta di grande e “pietrosa” dignità della propria appartenenza al luogo di nascita, quasi una liturgica cerimonia che vuole essere sfida , un silenzio urlato, ripeto, ma ricco di umanità e di concretezza fattiva che vuole credere alla speranza di un ritorno alla normalità, forse routinaria, talvolta grigia e monotona, ma mai fredda e insensibile, bensì ricca di quell’umanità che sola può stare alla base della rinascita di questa città. Non rabbia, ma ferma, pietrosa, sobria e civile fotografia di un mondo che nella dignità riscopre i valori di una terra che soffre e che, grazie ad una rara sensibilità percorsa da una sfumatura lieve di umile poesia, si assapora nel silenzio dei suoi testimoni, silenzio lacerante e magmatico che pudicamente si lascia percepire solo da chi si avvicina soffrendo con lei.

gianpiero amistani
E’ per me sempre difficile parlare di quello che vedo, ma questa volta mi è impossibile non farlo.
Bastano pochi giorni nella città di L’Aquila per capire di essere in ogni caso un privilegiato, di vivere una quotidianità lontana, di non dover ascoltare ogni giorno un ritornello senza musica.
Bastano pochi sguardi e inizi ad ascoltare.
Conosci 332 persone e non v’è altro che ricordare quello ti hanno detto.

“Dopo il 6 aprile, ogni giorno mi devo mangiare almeno un dolcetto”.
(al bar con uno dei 332)

“Senti questo: Vero affare! Terreno agricolo di 5000 mq, fronte strada, possibilità di frazionamento in zone panoramiche, ottima esposizione, assolatissimo”.
(leggendo un giornale di annunci con uno dei 332)

“ Ah Ma! Ma mi hai portato ancora una volta dove ci sono tutte cose scassate”
(per strada con una famiglia aquilana prima di fotografare uno dei 332)

“Per fortuna hanno messo gli autobus di linea che tutte le domeniche mi portano al centro commerciale”.
(nel piazzale del centro commerciale con una dei 332)

“Faccio volentieri la fotografia ma la voglio davanti a quello che resta della mia casa”.
(a Onna con uno dei 332)


Marco Monari

 



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