Alògia

Alògia Segnalato da Plasmati

Plasmati

Categoria: Mostre

Data: dal 15 ottobre 2009 al 31 ottobre 2009

Indirizzo: Via di Monte Giordano 27 Roma

Provincia: Roma

Orario di apertura: Ore 18.30

Come arrivare: Centro storico, davanti al palazzo Taverna, via di panico.

Sito internet: www.gallerialeopere.it

Referente: Jacopo Mattia Alegiani

E-mail: info@gallerialeopere.it


Inaugurazione Giovedì 15 ottobre 2009 ore 18:30

sino al 31 ottobre

dal giovedì al sabato 16:30 – 20:00

Galleria le “OPERE” Via di Monte Giordano, 27 – 00186 Roma

La prima volta che ho visto le sculture di Patrick Alò ho pensato ad un autoritratto collettivo, a come si riflettesse in quel metallo l’anima di una generazione rifiutata dal mercato, dalle ideologie persino, e quindi obbligata a servirsi di rifiuti per reinventarsi o riconoscersi. Ma ora, a distanza di tempo, questa lettura mi appare sempre meno convincente. C’è qualcosa in questi manufatti che trascende la loro stessa potenza comunicativa, la loro apparente facilità ermeneutica. Qualcosa persiste, resiste alla tentazione di una lettura legata ai tempi della cronaca. Così nel Deus sed ma- china in un primo momento ciò che ci colpisce è la salienza dell’immagine.

La pregnanza semantica è tale da apparentarla ad un manifesto pubblicitario. Lo schiaffo duchampiano non salva nulla: la nostra gloriosa tradizione, il cristianesimo, il classico e il moderno. Eccolo l’uomo nuovo della postmodernità – sembra venirci a dire – inchiodato a quel che resta della sua filosofia da quattro soldi, anzi da 1 €. Eppure al di là di scorciatoie sociologiste, il testo ci richiama ad una interpretazione differente. Questa crocefissione condensa, e sembra un processo onirico, i maestri del Rinascimento. Il Cristo del Michelangelo è ibridato con l’icona leonardesca, in un percorso che chiama in causa l’intera filosofia umanista occidentale, dall’antropomorfismo vitruviano all’antropocentrismo di Le Corbousier. L’immagine è pulita, è espressione di una coerente ricerca formale. Anche la seconda opera presente in mostra, la Chimera, non vuole essere uno sfregio ad un capo- lavoro dell’arte etrusca e, certamente, non è neppure la semplice apologia del riciclaggio assunto a palingenesi collettiva, è qualcos’altro. Alò imposta un dialogo ad armi pari con l’antico; ammicca allo spettatore, però è tra gli artisti che sceglie i suoi interlocutori. Per noi inscena una depistante commedia dai toni dadaisti, ma è serissimo nella scelta dei pezzi, nello studio delle proporzioni, nel trattamento delle superfici. Patrick ha scoperto qualcosa, nelle carcasse di fabbriche abbandonate, nei luoghi della rimozione, nei territori attraversati dagli avvoltoi dell’archeologia industriale, Patrick ha scoperto, ha inventato, ha trovato dentro di sé le tracce di una specie alla quale appartiene. Quest’umanità altra che ha scelto il fare come strumento di comunicazione, conosce le parole ma ne diffida. E allora lasciamoci alle spalle il Duchamp di L.H.O.O.Q. e della Ruota di bicicletta, per individuare i precedenti della Chimera: La testa di Toro di Picasso e le sorprendenti composizioni dell’Arcimboldo. L’ondata postindustriale ha fornito il pretesto materiale, tuttavia per cogliere l’unicità dell’itinerario di questo scultore occorre mettere tra parentesi le ragioni contestuali e attraversare le regioni del- l’arte, perché in esse sole è il senso di una ricerca che da quindici anni Alò conduce con rigore e pre- cisa individualità.


Antonio Rocca



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